sto solo facendo il mio lavoro (terza parte)
Quello che mi ha sorpreso maggiormente è stato scoprire che le donne sporcano le toilette pubbliche in modo molto peggiore degli uomini, con la loro abitudine ad utilizzare i gabinetti come se fossero delle turche (ovvero mettendosi in piedi sopra la ciambella, mancando immancabilmente il buco), e quella di utilizzare metri e metri di carta igienica che abbandonano poi sul pavimento del bagno.
Comunque, a parte pulire i cessi dai disastri lasciati dalle donne in arrivo e in partenza all'aeroporto, le mie principali mansioni erano quelle di spostare i carrelli portabagagli che i viaggiatori disseminavano ovunque e di svuotare i cestini dei rifiuti.
Era un periodo in cui l'uso dei telefoni cellulari non era ancora diventato di massa, anzi, quelli che lo usavano venivano additati e guardati come individui esibizionisti e vanitosi; ma non siamo poi tanto indietro nel passato e, volendo continuare ad utilizzare come metronomo la tecnologia per la comunicazione a distanza, era anche quel periodo in cui i telefoni pubblici a gettoni, o a monete, venivano soppiantati dai telefoni a scheda prepagata. Così si era andata formando una folta schiera di collezionisti di schede prepagate usate, rifornita da coloro che lavoravano in luoghi in cui fossero installati telefoni pubblici, come gli inservienti aeroportuali che si facevano pochi scrupoli a dare un'occhiata all'interno dei cestini della spazzatura che dovevano svuotare, visto che le schede telefoniche potevano valere quanto un'ora di paga. E di schede usate, nei cestini di un aeroporto, se ne trovavano parecchie.
Così, stavo passando un'estate niente male: i miei coinquilini erano tutti in vacanza e potevo permettermi la libertà di pisciare con la porta del bagno aperta o di girare nudo per casa, visto il caldo che faceva in quei mesi; sul lavoro, al contrario, venivo stipendiato per starmene all'aria condizionata, stipendio, come già detto, gonfiato da questa moda di collezionare cose che altra gente buttava via e che io non dovevo far altro che recuperare. Certo, non ero una figura di prestigio in aeroporto: venivo usato come punching ball psicologico da capifamiglia stressati in partenza o di ritorno dalle vacanze con moglie e figli, insultato in quanto, dovendo spostare carrelli portabagagli da dove loro li lasciavano a dove avrebbero avuto piacere di trovarli la prossima volta che gli sarebbero serviti - "lavori socialmente utili", secondo questi capifamiglia - impegnavo gli ascensori e li costringevo a fare una rampa di scale, servita tra l'altro da scale mobili; e le ragazze del check-in non mi degnavano di uno sguardo, in quanto ero colui che puliva quello che loro sporcavano. Nessuno lì era interessato a sapere nulla di me; non che io ci tenessi a farmi conoscere, a far sapere chi fossi, oltre che l'Inserviente: facevo il mio lavoro, e tanto mi bastava.
In realtà c'era qualcuno interessato a sapere qualcosa di più sul mio conto: dopo qualche tempo fatto di infantili giochi di sguardi, la Receptionist ed io avevamo iniziato a chiaccherare di noi durante le pause. O meglio, avevamo iniziato a parlare di me, grazie a tutte le sue domande: forse era un po' troppo curiosa, per ovviare al semplice bisogno di vivere fuori dai suoi sogni. Molto carina, molto disponibile, dava l'impressione di essere alla ricerca di qualcuno. Nessuno in particolare: pareva che chiunque dimostrasse di avere le doti minime da lei richieste potesse incarnare la fantasia che stava rincorrendo. Mio malgrado, possedevo alcune di queste doti. Suo malgrado, erano già state scoperte da un'altra ragazza, e davvero non avevo intenzione di tradire. E poi, avrei potuto invitarla fuori a cena, mi sarei fatto dare l'indirizzo di dove abitava e sarei andato a prenderla sotto casa, ma non avevo la macchina, e non saremmo andati molto lontani. Giovane e idealista, a volte la vita non è giusta. Le sue attenzioni stimolavano il mio bisogno di trovare conferme al di fuori della mia vita di coppia, di sapere che, se solo avessi voluto, avrei potuto rimettermi in gioco. E tanto bastava.
Non a lei, la quale puntava ad avere molto di più, puntava a qualcosa che coinvolgeva progetti di vacanze e pomeriggi di pioggia sotto le coperte, ma notando la mia incapacità o la mia mancanza di volontà a farmi avanti, stava inconsapevolmente cercando una scusa per lasciarmi perdere. Non ci volle molto perché lei capisse che non ero io la persona che stava aspettando e che, dopotutto, non aveva molto senso cercare qualcuno in particolare. Non le ci volle molto per trovare un pretesto.
Questo avvenne dopo averla avvertita che avevo appena scoperto che uno dei passeggeri nell'area d'aspetto dell'aeroporto era morto, e dopo averle chiesto di chiamare il Pronto Soccorso, come se potesse essere di qualche utilità. Il pretesto per non curarsi più di me si manifestò dopo che gli infermieri arrivarono sul posto, sdraiarono sul pavimento il Ciccione, ma non poterono far altro che costatare il decesso, avvenuto pochi attimi prima che io lo notassi accasciato sulle sue valigie.
Adesso, se una cosa come l'anima esiste davvero, si tratta di un qualcosa, di un'aura viva, che si stacca dal corpo nel momento che esso muore. Così si dice, no? Allo stesso modo, una volta che il Ciccione era stato caricato su una barella e portato all'obitorio, rimaneva, lì dove era stato sdraiato, un alone di sudore, che disegnava sul pavimento la silhouette del cadavere così come viene solitamente disegnato con il gesso nei rilevamenti di polizia. Volendola vedere in un certo modo, volendola mettere sul metafisico, sembrava che la calda, vitale anima del Ciccione, nel momento di staccarsi dal corpo, fosse rimasta impigliata sulla liscia superficie del pavimento di marmo dell'aeroporto, raffreddato dall'aria condizionata. Potete credere come non credere nell'aldilà e nella vita ultraterrena, e se me lo chiedete, io non ci credo: ma notare che questo alone di sudore, perché solo di questo si trattava, non ne volesse sapere di evaporare dopo qualche tempo, e richiedesse che la Receptionist dell'help desk chiamasse all'interfono me, l'Inserviente, affinché lo facessi sparire con un colpo di straccio, potrebbe creare qualche piccola crepa nel vostro agnosticismo. Non il mio, visto che non pensai più all'episodio per molto tempo, e non mi diedi pena di raccontarlo a nessuno, fino ad ora, ma certo toccò la sensibilità della Receptionist che, più tardi, mi avvicinò per scusarsi per avermi dovuto chiamare all'interfono per affibiarmi quell'ingrato compito: era davvero mortificata, come se io stessi rodendomi il cuore per essere diventato una sorta di Cancellatore di Anime (the Soul Eraser, ne verrebbe fuori un film mediocre con un discreto rientro di botteghino).
"Perché?" le risposi insensibile "stavo solo facendo il mio lavoro. E anche tu".
Comunque, a parte pulire i cessi dai disastri lasciati dalle donne in arrivo e in partenza all'aeroporto, le mie principali mansioni erano quelle di spostare i carrelli portabagagli che i viaggiatori disseminavano ovunque e di svuotare i cestini dei rifiuti.
Era un periodo in cui l'uso dei telefoni cellulari non era ancora diventato di massa, anzi, quelli che lo usavano venivano additati e guardati come individui esibizionisti e vanitosi; ma non siamo poi tanto indietro nel passato e, volendo continuare ad utilizzare come metronomo la tecnologia per la comunicazione a distanza, era anche quel periodo in cui i telefoni pubblici a gettoni, o a monete, venivano soppiantati dai telefoni a scheda prepagata. Così si era andata formando una folta schiera di collezionisti di schede prepagate usate, rifornita da coloro che lavoravano in luoghi in cui fossero installati telefoni pubblici, come gli inservienti aeroportuali che si facevano pochi scrupoli a dare un'occhiata all'interno dei cestini della spazzatura che dovevano svuotare, visto che le schede telefoniche potevano valere quanto un'ora di paga. E di schede usate, nei cestini di un aeroporto, se ne trovavano parecchie.
Così, stavo passando un'estate niente male: i miei coinquilini erano tutti in vacanza e potevo permettermi la libertà di pisciare con la porta del bagno aperta o di girare nudo per casa, visto il caldo che faceva in quei mesi; sul lavoro, al contrario, venivo stipendiato per starmene all'aria condizionata, stipendio, come già detto, gonfiato da questa moda di collezionare cose che altra gente buttava via e che io non dovevo far altro che recuperare. Certo, non ero una figura di prestigio in aeroporto: venivo usato come punching ball psicologico da capifamiglia stressati in partenza o di ritorno dalle vacanze con moglie e figli, insultato in quanto, dovendo spostare carrelli portabagagli da dove loro li lasciavano a dove avrebbero avuto piacere di trovarli la prossima volta che gli sarebbero serviti - "lavori socialmente utili", secondo questi capifamiglia - impegnavo gli ascensori e li costringevo a fare una rampa di scale, servita tra l'altro da scale mobili; e le ragazze del check-in non mi degnavano di uno sguardo, in quanto ero colui che puliva quello che loro sporcavano. Nessuno lì era interessato a sapere nulla di me; non che io ci tenessi a farmi conoscere, a far sapere chi fossi, oltre che l'Inserviente: facevo il mio lavoro, e tanto mi bastava.
In realtà c'era qualcuno interessato a sapere qualcosa di più sul mio conto: dopo qualche tempo fatto di infantili giochi di sguardi, la Receptionist ed io avevamo iniziato a chiaccherare di noi durante le pause. O meglio, avevamo iniziato a parlare di me, grazie a tutte le sue domande: forse era un po' troppo curiosa, per ovviare al semplice bisogno di vivere fuori dai suoi sogni. Molto carina, molto disponibile, dava l'impressione di essere alla ricerca di qualcuno. Nessuno in particolare: pareva che chiunque dimostrasse di avere le doti minime da lei richieste potesse incarnare la fantasia che stava rincorrendo. Mio malgrado, possedevo alcune di queste doti. Suo malgrado, erano già state scoperte da un'altra ragazza, e davvero non avevo intenzione di tradire. E poi, avrei potuto invitarla fuori a cena, mi sarei fatto dare l'indirizzo di dove abitava e sarei andato a prenderla sotto casa, ma non avevo la macchina, e non saremmo andati molto lontani. Giovane e idealista, a volte la vita non è giusta. Le sue attenzioni stimolavano il mio bisogno di trovare conferme al di fuori della mia vita di coppia, di sapere che, se solo avessi voluto, avrei potuto rimettermi in gioco. E tanto bastava.
Non a lei, la quale puntava ad avere molto di più, puntava a qualcosa che coinvolgeva progetti di vacanze e pomeriggi di pioggia sotto le coperte, ma notando la mia incapacità o la mia mancanza di volontà a farmi avanti, stava inconsapevolmente cercando una scusa per lasciarmi perdere. Non ci volle molto perché lei capisse che non ero io la persona che stava aspettando e che, dopotutto, non aveva molto senso cercare qualcuno in particolare. Non le ci volle molto per trovare un pretesto.
Questo avvenne dopo averla avvertita che avevo appena scoperto che uno dei passeggeri nell'area d'aspetto dell'aeroporto era morto, e dopo averle chiesto di chiamare il Pronto Soccorso, come se potesse essere di qualche utilità. Il pretesto per non curarsi più di me si manifestò dopo che gli infermieri arrivarono sul posto, sdraiarono sul pavimento il Ciccione, ma non poterono far altro che costatare il decesso, avvenuto pochi attimi prima che io lo notassi accasciato sulle sue valigie.
Adesso, se una cosa come l'anima esiste davvero, si tratta di un qualcosa, di un'aura viva, che si stacca dal corpo nel momento che esso muore. Così si dice, no? Allo stesso modo, una volta che il Ciccione era stato caricato su una barella e portato all'obitorio, rimaneva, lì dove era stato sdraiato, un alone di sudore, che disegnava sul pavimento la silhouette del cadavere così come viene solitamente disegnato con il gesso nei rilevamenti di polizia. Volendola vedere in un certo modo, volendola mettere sul metafisico, sembrava che la calda, vitale anima del Ciccione, nel momento di staccarsi dal corpo, fosse rimasta impigliata sulla liscia superficie del pavimento di marmo dell'aeroporto, raffreddato dall'aria condizionata. Potete credere come non credere nell'aldilà e nella vita ultraterrena, e se me lo chiedete, io non ci credo: ma notare che questo alone di sudore, perché solo di questo si trattava, non ne volesse sapere di evaporare dopo qualche tempo, e richiedesse che la Receptionist dell'help desk chiamasse all'interfono me, l'Inserviente, affinché lo facessi sparire con un colpo di straccio, potrebbe creare qualche piccola crepa nel vostro agnosticismo. Non il mio, visto che non pensai più all'episodio per molto tempo, e non mi diedi pena di raccontarlo a nessuno, fino ad ora, ma certo toccò la sensibilità della Receptionist che, più tardi, mi avvicinò per scusarsi per avermi dovuto chiamare all'interfono per affibiarmi quell'ingrato compito: era davvero mortificata, come se io stessi rodendomi il cuore per essere diventato una sorta di Cancellatore di Anime (the Soul Eraser, ne verrebbe fuori un film mediocre con un discreto rientro di botteghino).
"Perché?" le risposi insensibile "stavo solo facendo il mio lavoro. E anche tu".