da questo blog è stata tratta una storia vera

29.8.05

sto solo facendo il mio lavoro (terza parte)

Quello che mi ha sorpreso maggiormente è stato scoprire che le donne sporcano le toilette pubbliche in modo molto peggiore degli uomini, con la loro abitudine ad utilizzare i gabinetti come se fossero delle turche (ovvero mettendosi in piedi sopra la ciambella, mancando immancabilmente il buco), e quella di utilizzare metri e metri di carta igienica che abbandonano poi sul pavimento del bagno.
Comunque, a parte pulire i cessi dai disastri lasciati dalle donne in arrivo e in partenza all'aeroporto, le mie principali mansioni erano quelle di spostare i carrelli portabagagli che i viaggiatori disseminavano ovunque e di svuotare i cestini dei rifiuti.
Era un periodo in cui l'uso dei telefoni cellulari non era ancora diventato di massa, anzi, quelli che lo usavano venivano additati e guardati come individui esibizionisti e vanitosi; ma non siamo poi tanto indietro nel passato e, volendo continuare ad utilizzare come metronomo la tecnologia per la comunicazione a distanza, era anche quel periodo in cui i telefoni pubblici a gettoni, o a monete, venivano soppiantati dai telefoni a scheda prepagata. Così si era andata formando una folta schiera di collezionisti di schede prepagate usate, rifornita da coloro che lavoravano in luoghi in cui fossero installati telefoni pubblici, come gli inservienti aeroportuali che si facevano pochi scrupoli a dare un'occhiata all'interno dei cestini della spazzatura che dovevano svuotare, visto che le schede telefoniche potevano valere quanto un'ora di paga. E di schede usate, nei cestini di un aeroporto, se ne trovavano parecchie.
Così, stavo passando un'estate niente male: i miei coinquilini erano tutti in vacanza e potevo permettermi la libertà di pisciare con la porta del bagno aperta o di girare nudo per casa, visto il caldo che faceva in quei mesi; sul lavoro, al contrario, venivo stipendiato per starmene all'aria condizionata, stipendio, come già detto, gonfiato da questa moda di collezionare cose che altra gente buttava via e che io non dovevo far altro che recuperare. Certo, non ero una figura di prestigio in aeroporto: venivo usato come punching ball psicologico da capifamiglia stressati in partenza o di ritorno dalle vacanze con moglie e figli, insultato in quanto, dovendo spostare carrelli portabagagli da dove loro li lasciavano a dove avrebbero avuto piacere di trovarli la prossima volta che gli sarebbero serviti - "lavori socialmente utili", secondo questi capifamiglia - impegnavo gli ascensori e li costringevo a fare una rampa di scale, servita tra l'altro da scale mobili; e le ragazze del check-in non mi degnavano di uno sguardo, in quanto ero colui che puliva quello che loro sporcavano. Nessuno lì era interessato a sapere nulla di me; non che io ci tenessi a farmi conoscere, a far sapere chi fossi, oltre che l'Inserviente: facevo il mio lavoro, e tanto mi bastava.
In realtà c'era qualcuno interessato a sapere qualcosa di più sul mio conto: dopo qualche tempo fatto di infantili giochi di sguardi, la Receptionist ed io avevamo iniziato a chiaccherare di noi durante le pause. O meglio, avevamo iniziato a parlare di me, grazie a tutte le sue domande: forse era un po' troppo curiosa, per ovviare al semplice bisogno di vivere fuori dai suoi sogni. Molto carina, molto disponibile, dava l'impressione di essere alla ricerca di qualcuno. Nessuno in particolare: pareva che chiunque dimostrasse di avere le doti minime da lei richieste potesse incarnare la fantasia che stava rincorrendo. Mio malgrado, possedevo alcune di queste doti. Suo malgrado, erano già state scoperte da un'altra ragazza, e davvero non avevo intenzione di tradire. E poi, avrei potuto invitarla fuori a cena, mi sarei fatto dare l'indirizzo di dove abitava e sarei andato a prenderla sotto casa, ma non avevo la macchina, e non saremmo andati molto lontani. Giovane e idealista, a volte la vita non è giusta. Le sue attenzioni stimolavano il mio bisogno di trovare conferme al di fuori della mia vita di coppia, di sapere che, se solo avessi voluto, avrei potuto rimettermi in gioco. E tanto bastava.
Non a lei, la quale puntava ad avere molto di più, puntava a qualcosa che coinvolgeva progetti di vacanze e pomeriggi di pioggia sotto le coperte, ma notando la mia incapacità o la mia mancanza di volontà a farmi avanti, stava inconsapevolmente cercando una scusa per lasciarmi perdere. Non ci volle molto perché lei capisse che non ero io la persona che stava aspettando e che, dopotutto, non aveva molto senso cercare qualcuno in particolare. Non le ci volle molto per trovare un pretesto.
Questo avvenne dopo averla avvertita che avevo appena scoperto che uno dei passeggeri nell'area d'aspetto dell'aeroporto era morto, e dopo averle chiesto di chiamare il Pronto Soccorso, come se potesse essere di qualche utilità. Il pretesto per non curarsi più di me si manifestò dopo che gli infermieri arrivarono sul posto, sdraiarono sul pavimento il Ciccione, ma non poterono far altro che costatare il decesso, avvenuto pochi attimi prima che io lo notassi accasciato sulle sue valigie.
Adesso, se una cosa come l'anima esiste davvero, si tratta di un qualcosa, di un'aura viva, che si stacca dal corpo nel momento che esso muore. Così si dice, no? Allo stesso modo, una volta che il Ciccione era stato caricato su una barella e portato all'obitorio, rimaneva, lì dove era stato sdraiato, un alone di sudore, che disegnava sul pavimento la silhouette del cadavere così come viene solitamente disegnato con il gesso nei rilevamenti di polizia. Volendola vedere in un certo modo, volendola mettere sul metafisico, sembrava che la calda, vitale anima del Ciccione, nel momento di staccarsi dal corpo, fosse rimasta impigliata sulla liscia superficie del pavimento di marmo dell'aeroporto, raffreddato dall'aria condizionata. Potete credere come non credere nell'aldilà e nella vita ultraterrena, e se me lo chiedete, io non ci credo: ma notare che questo alone di sudore, perché solo di questo si trattava, non ne volesse sapere di evaporare dopo qualche tempo, e richiedesse che la Receptionist dell'help desk chiamasse all'interfono me, l'Inserviente, affinché lo facessi sparire con un colpo di straccio, potrebbe creare qualche piccola crepa nel vostro agnosticismo. Non il mio, visto che non pensai più all'episodio per molto tempo, e non mi diedi pena di raccontarlo a nessuno, fino ad ora, ma certo toccò la sensibilità della Receptionist che, più tardi, mi avvicinò per scusarsi per avermi dovuto chiamare all'interfono per affibiarmi quell'ingrato compito: era davvero mortificata, come se io stessi rodendomi il cuore per essere diventato una sorta di Cancellatore di Anime (the Soul Eraser, ne verrebbe fuori un film mediocre con un discreto rientro di botteghino).
"Perché?" le risposi insensibile "stavo solo facendo il mio lavoro. E anche tu".

21.8.05

sto solo facendo il mio lavoro (seconda parte)

Lavorava all'help desk, alle Informazioni, da ormai due anni: pochi mesi prima aveva finalmente firmato il contratto a tempo indeterminato, dopo essersi fatta rinnovare svariati contratti a termine. Aveva un'automobile che, tempo di pagare altre tre rate mensili, sarebbe stata sua a tutti gli effetti. Viveva in quella che poteva definire "casa sua", un appartamento accogliente che condivideva con un'altra ragazza, in modo da poter dividere le spese e l'affitto non certo modico. Nelle ore più tranquille, quando tutti i charter erano decollati, e prima che venissero annunciati i pochi voli intercontinentali che l'aeroporto serviva, in quei momenti senza nulla da fare, la Receptionist si sorprendeva a pensare che la sua vita fosse quasi perfetta.
Quasi.
Le mancava un uomo. Non che desse molto peso alle parole di sua madre, la quale le ricordava quando aveva la sua età, aveva già due figli. Non che fosse in età da maritarsi. Non che le dispiacesse passare da una avventura all'altra, da un uomo all'altro, però, chissà, magari il prossimo poteva anche essere quello giusto.
Una persona che non sgusciasse fuori dalle coperte appena sveglio, o peggio, appena finito di scopare: voleva qualcuno con cui rotolarsi nel piumone nelle giornate di pioggia; qualcuno con cui andare per musei, se non nel weekend, in un qualsiasi giorno della settimana lei non fosse di turno; qualcuno con cui progettare la prossima vacanza. Magari avrebbe mandato via la coinquilina e questa persona si sarebbe trasferita da lei.
In aeroporto era arrivato un nuovo ragazzo, poco più giovane della Receptionist: lavorava lì come inserviente da un paio di mesi, dall'inizio dell'estate; le sue colleghe non gli prestavano molta attenzione, principalmente a causa del suo lavoro, ma la Receptionist lo trovava attraente e, una volta conosciuto, lo aveva scoperto gentile e premuroso. Parlandoci, aveva saputo che era iscritto all'università e che il lavoro di inserviente gli serviva, più che per pagarsi gli studi, per un viaggio oltreoceano. Gentile e premuroso, ma forse troppo timido per fare la prima mossa e invitarla fuori, per vedersi fuori dal lavoro. Forse, avevano suggerito alcune colleghe, non era timido, era semplicemente fidanzato. Ma ancora, nelle loro chiacchierate l'Inserviente non aveva mai accennato a una relazione in corso, per quanto la Receptionist gli avesse dato più occasioni a riguardo.
Quel giorno la Receptionist e l'Inserviente hanno lo stesso turno, e così, quando i viaggiatori non la importunano per sapere a quale cancello sia il loro imbarco, lo segue dall'help desk con lo sguardo, mentre svolge le sue solite mansioni. Sta svuotando i cestini dei rifiuti nell'area d'aspetto quando si avvicina a un ciccione che dorme sulle proprie valigie; rivolge al Ciccione qualche parola, per poi chinarsi su di lui. Si rialza e si dirige verso di lei, verso l'help desk. Vedendolo arrivare, la Receptionst gli prepara il suo miglior sorriso, gli occhi scintillanti e gli angoli della bocca maliziosi. Ma il sorriso si blocca a metà, in una strana smorfia, nel vedere un'espressione dura nel volto dell'Inserviente. E nel sentire la sua voce ferma.
"Chiama il 118 dell'aeroporto: il tizio laggiù è morto".

11.8.05

sto solo facendo il mio lavoro (prima parte)

Dovendo prendere un aereo, sarebbe meglio farsi assegnare un posto sull'ala, e possibilmente sull'uscita di emergenza, in particolare dovendo affrontarte un lungo viaggio: sull'ala, fulcro dell'aereo, i rollii e gli sbecchettamenti del veicolo in volo vengono avvertiti in maniera minore che in testa o in coda; e i posti sull'uscita di emergenza permettono di avere uno spazio extra per le gambe, spazio che fa la differenza nei voli transoceanici. Per queste ragioni i posti sull'ala e presso le uscite di emergenza sono i più ambiti, e bisogna presentarsi al check in con largo anticipo, per non farseli fregare da altri che conoscono questo piccolo segreto del viaggiatore. Ed è per questo che Il Ciccione è già in aeroporto, con la sua carta d'imbarco in mano, nonostante manchino più di due ore alla chiamata del suo volo.
Sta sudando. Parecchio. Non che all'interno dell'aeroporto faccia caldo, ma l'aria condizionata non riesce a raffreddare i 160 chilogrammi di ciccia che compongono il suo corpo, surriscaldato durante il tragitto in taxi in un torrido pomeriggio d'agosto. Forse è anche il pensiero di raggiungere la sua famiglia in vacanza a renderlo nervoso: la famiglia allargata, con entrambi i suoceri. Forse è anche per questo che suda. Non so, sto congetturando.
Quello che so è che sta sudando. E dopo non molto sente un dolore al braccio sinistro. All'inizio lieve, poi più intenso, che gli prende il petto. Si guarda intorno, ma nessuno sta guardando nella sua direzione. Apre la bocca per chiamare aiuto, ma non riesce a emettere alcun suono. Quindi si accascia sulle proprie valigie.

1.8.05

agosto

Agosto: "Se ti annoi è perché sei una persona noiosa".